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"Sotto la pelle - libri antispecisti" - Ep 1 "Sotto la pelle" di M. Faber


"Sotto la pelle”, l'esordio letterario di Michel Faber, è il romanzo che dà il nome a questo podcast e il primo romanzo di cui ho scelto di parlarti in questa prima puntata.
"Sotto la pelle - libri antispecisti" - Ep 1 "Sotto la pelle" di M. Faber

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"Sotto la pelle - libri antispecisti" - Ep 1 "Sotto la pelle" di M. Faber


"Sotto la pelle”, l'esordio letterario di Michel Faber, è il romanzo che dà il nome a questo podcast e il primo romanzo di cui ho scelto di parlarti in questa prima puntata.

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September 23, 2022


"Sotto la pelle - libri antispecisti" - Ep 1 "Sotto la pelle" di M. Faber
Puoi ascoltare gratis questa puntata su Spotify e su Spreaker, qui sotto trovi la trascrizione.

 

“Quando avvistava un autostoppista per la prima volta Isserley non si fermava mai, si concedeva un po’ di tempo per prendergli le misure. Quel che cercava erano i muscoli: un pezzo d’uomo ben piantato sulle gambe. Di esemplari gracili, pelle e ossa, non se ne faceva nulla.”

Benvenuto o benvenuta in “Sotto la pelle - libri antispecisti” un podcast dove si parla di libri e di rapporti tra specie, un luogo dove “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui”.

SPOILER ALERT E TRIGGER WARNING

Quello che hai appena sentito è l’incipit di “Sotto la pelle”, il romanzo di Michel Faber che dà il titolo a questo podcast e anche il primo romanzo di cui ho scelto di parlarti in questa prima puntata. Innanzitutto voglio avvisarti che in questo podcast saranno presenti moltissimi spoiler, sono necessari all’analisi del romanzo, quindi se non hai ancora letto il libro e sai che gli spoiler potrebbero rovinarti il gusto della lettura, ti consiglio di passare di qui più tardi. 

Inoltre vorrei dirti che sono presenti riferimenti a violenza, anche sessuale, seppur non gratuiti ma sempre funzionali all’analisi dell’opera. Se sei particolarmente sensibile, forse dovresti valutare di non ascoltare questa puntata.

UN ROMANZO CHE TRASCENDE IL GENERE E CI PARLA DI SPECISMO

“Sotto la pelle”, uscito nel 2000, è stato l’esordio letterario di Michel Faber, scrittore nato nei Paesi Bassi, cresciuto in Australia e che si è poi trasferito nelle Highlands scozzesi. “Sotto la pelle” è stato un successo internazionale anche se forse hai già sentito parlare di lui per un altro romanzo “Il petalo cremisi e il bianco” che è uscito nel 2002 ed è stato un vero e proprio best seller mondiale, tuttora molto letto e amatissimo dal pubblico. 

Si tratta di un feuilletton moderno, ambientato nella Londra vittoriana e ha per protagonista una prostituta.

Con “Sotto la pelle” siamo invece nel reame della fantascienza e dell’horror, è un romanzo in cui si riconoscono alcuni topos del genere, già presenti in opere precedenti appartenenti al filone fantascientifico che trattano il tema della colonizzazione aliena anche se in realtà Faber, in diverse interviste, ha voluto sottolineare, riguardo a “Sotto la pelle” di essersi volontariamente tenuto lontano da certe convenzioni e cliché in quanto non interessato alla science fiction ma più al character study, studio del personaggio, e in effetti in “Sotto la pelle” non troviamo descrizioni accurate della tecnologia aliena, del pianeta di origine della protagonista, della navicella spaziale e così via, è un romanzo che si sofferma di più sulla psicologia dei personaggi e ha un’atmosfera molto realistica

Al di là del filone letterario a cui appartiene, “Sotto la pelle” per la forza della storia e della scrittura, come tutti i grandi romanzi, trascende il genere, ha molti livelli di lettura ed infatti è stato interpretato da pubblico e critica in tante maniere diverse: c’è chi ci ha visto un richiamo agli stereotipi di genere e alla violenza maschile, chi una riflessione sul sovrasfruttamento della tecnologia e la conseguente crisi ecologica del pianeta, chi ancora un romanzo sull’identità queer e in molti ci hanno letto una critica diretta all’industria della carne. E “Sotto la pelle” è sicuramente tutto questo e molto di più. Se vogliamo restare alle parole del suo autore, Faber in un articolo per il Guardian, dice di aver scritto il romanzo in un momento di depressione e alienazione, dopo essersi trasferito da una città multiculturale dell’Australia a una fattoria isolata delle Highlands scozzesi “Lo shock culturale mi faceva sentire come se fossi atterrato su un altro pianeta” dice. Ed è allora che, spinto dalla moglie, si mette a scrivere il suo primo romanzo.

Dice ancora “non volevo scrivere una satira, volevo scrivere un libro che mettesse al tappeto le persone, che le perseguitasse per sempre”, scrive, e ancora “La sua storia (della protagonista di Sotto la Pelle) avrebbe posto delle domande preoccupanti su come trattiamo coloro che etichettiamo come “gli Altri”. Avrebbe trattato, implicitamente, di guerra e razzismo. Avrebbe osservato l'orrore dell'allevamento intensivo. Avrebbe osservato la vulnerabilità delle persone perse e non amate spinte alle periferie del nostro branco, dove i predatori possono eliminarle senza che nessuno se ne accorga o se ne preoccupi."

Faber non si dichiara né vegetariano né vegano né tantomeno antispecista ma poco importa, parliamo appunto di letteratura e non di filosofia, e il ruolo della letteratura non è quello di sostenere una tesi né di esprimere una morale, “Sotto la pelle” non è un manifesto antispecista ma riesce a parlarci molto bene dello specismo, cioè di quell’atteggiamento pregiudizievole che contraddistingue la nostra società antropocentrica e che consiste nell’attribuire uno status superiore agli esseri umani a scapito degli altri animali e di tutte le responsabilità morali che questa visione del mondo si porta dietro, e ancora di come lo specismo abbia una radice comune con altre forme di discriminazione come il razzismo e il sessismo.

LA PROSPETTIVA RIBALTATA

“Sotto la pelle” è narrato in terza persona, da un narratore esterno onnisciente focalizzato principalmente sul punto di vista della protagonista, Isserley. Isserley, si riferisce a se stessa con il termine “essere umano” e noi lettori siamo portati a credere che Isserley sia un essere umano femmina, con delle caratteristiche e un linguaggio particolare, ma umana, con un punto di vista umano sul mondo in cui si muove. Molti particolari ci fanno credere che sia una sorta di predatrice sessuale con i seni grossi messi sempre in bella vista grazie a top scollati per attirare uomini prestanti. Faber ci dice davvero poco sul suo conto, resta vago, elargisce piccoli indizi mantenendo sempre un grado di mistero, di non detto. Non ci dice molto nemmeno del suo aspetto fisico, solo man mano che procediamo nella lettura, in un momento non preciso, capiamo che Isserley è un’aliena, proviene da un altro pianeta, un mondo che sta attraversando verosimilmente una crisi ecologica e sociale. 

Capiamo che Isserley ha accettato un compromesso pur di scappare dal destino che le avrebbero riservato in patria, ovvero una vita sotto terra, in condizioni precarie, con razionamento di acqua e ossigeno. Il compromesso è stato sottoporsi a delle operazioni chirurgiche estreme, invasive e dolorose che hanno cambiato il suo aspetto fisico per renderla più simile possibile agli abitanti della terra, che lei chiama “vodsel”, e permetterle dunque di fare con successo il suo lavoro, in superficie. 

Il suo aspetto fisico originario lo scopriamo solo a metà del libro, quando ci viene descritto nei dettagli un altro membro della sua specie: capiamo allora che la specie di cui fa parte Isserley cammina a quattro zampe, ha una coda prensile, orecchie aguzze e muso volpino, il corpo ricoperto interamente da una peluria morbida. Isserley ha dovuto quindi subire l’amputazione della coda e del suo sesto dito di entrambe le mani, una mutilazione genitale, un’operazione alla spina dorsale per poter camminare su due arti che le provoca dolori quotidiani lancinanti, si rade regolarmente tutto il corpo, indossa scarpe molto grosse per accogliere i suoi artigli e un paio di occhiali con lenti molto spesse per camuffare occhi e viso elfico, e ha due seni finti enormi che, agli occhi dei vodsel, dovrebbero accomunarla alle altre femmine della specie.

La trasformazione dicevo, è funzionale al suo lavoro sulla terra che consiste nel guidare avanti e indietro per le autostrade delle Highlands scozzesi alla ricerca di autostoppisti rigorosamente maschi, “vodsel” con caratteristiche fisiche e psicologiche ben precise, devono essere prestanti, possenti, muscolosi e attraverso una breve chiacchierata con loro, Isserley deve essere sicura di trovarsi di fronte a lupi solitari, disoccupati, senzatetto, uomini ai margini della società di cui nessuno noterebbe l’improvvisa scomparsa. Dopo aver caricato la preda in macchina Isserley la stordisce con un’iniezione di “icpathua”, un anestetico somministrato schiacciando un pulsante sul volante che a sua volta aziona due aghi posti sul sedile passeggero, e una volta incoscienti li porta all’Ablach Farm, il quartier generale travestito da comune fattoria scozzese, dove gli autostoppisti sono “lavorati” cioè sottoposti a procedure chirurgiche, messi all’ingrasso e infine macellati. Lo scopo è produrre un filetto di carne, il “voddissin” particolarmente gustoso e costosissimo, richiesto dall’alta società aliena.

Il romanzo ci sta mettendo quindi di fronte ad una prospettiva ribaltata, quella dell’alieno sull’umano, ma anche quello dell’animale sull’umano. Per Isserley noi siamo animali, ci chiamiamo vodsel e siamo considerati nulla più che carne da macello. 

Questo rivolgimento linguistico e di prospettiva è la più grande invenzione di Faber e ciò che fa funzionare così bene questo romanzo.

IL LINGUAGGIO COME DISCRIMINE TRA UMANO E NON UMANO, LA DISSONANZA COGNITIVA

In particolare la questione del linguaggio è un tema centrale in due sensi.

Innanzitutto c’è la questione del linguaggio come discrimine tra umano e non umano. Se ci pensiamo tutta la nostra tradizione filosofica occidentale ha affrontato la questione del rapporto animale umano - animale non umano in termini di differenze che riguardano soprattutto le capacità cognitiva e il linguaggio. L’uomo ha deciso che cosa è umano, cioè su tutto le capacità di parlare, esprimersi, comunicare, ha tracciato questo confine cancellando la sua animalità e opponendosi all’animale che quindi ha definito in negativo, per differenze e mancanza, soprattutto di parola. Tutto ciò ha decretato quindi la superiorità dell’umano e giustificato la violenza sulle altre specie. 

Nel romanzo questo aspetto del linguaggio viene esemplificato da un passaggio in particolare, che rappresenta anche la prima svolta nella trama e nella psicologia di Isserley. Il passaggio a cui mi riferisco è quello dell’incontro tra Isserley e Amlis Vess, il figlio del capo della Vess Incorporated, l’azienda per cui lei lavora, leader incontrastato nella produzione di filetto di carne “vodissin”. Amlis non ha nessuna intenzione di seguire le orme del padre, al contrario è salito in superficie per vedere con i propri occhi cosa avviene, è una sorta di attivista per i diritti degli animali (i vodsel), reputa che non sia etico cibarsene, ha tentato addirittura di liberare alcuni esemplari, e convince Isserley a seguirlo nelle viscere dell’impianto di trasformazione della fabbrica, portandola fino a recinti dove i vodsel sono all’ingrasso e stanno aspettando il proprio destino. Oltre ad essere castrati, ai vodsel è stata tagliata la lingua, non possono più parlare ma un esemplare riesce comunque a comunicare con Isserley e Amlis: si avvicina alla rete e traccia una parola sul terreno con l’aiuto di un bastoncino. La parola è “Pietà”.

Amlis si meraviglia del fatto che i vodsel abbiano una lingua e chiede a Isserley di tradurgli la parola, di spiegargli il significato, lei che ormai vive in incognito con i vodsel e ha dovuto imparare la loro cultura e il loro linguaggio per poterli adescare. ma Isserley è reticente

“Pensò di provare a pronunciare la strana parola con una contorsione delle labbra e aggrottando le ciglia, come se le fosse stato chiesto di riprodurre il coccodé di una gallina o il muuu di una mucca. Se Amlis le avesse chiesto cosa significasse, avrebbe spiegato onestamente che non c’era un termine adatto nella lingua degli esseri umani per spiegarlo. Dischiuse le labbra per parlare ma capì appena in tempo che sarebbe stato un errore. Il fatto stesso di pronunciarla, in qualunque modo, l’avrebbe trasformata in una parola vera e propria; Amlis sarebbe senza dubbio andato in estasi all’idea che il vodsel fosse in grado di collegare una sequenza di simboli scarabocchiati a un suono specifico, per quanto gutturale e incomprensibile. Così facendo in un colpo solo avrebbe riconosciuto ai vodsel, agli occhi di lui, sia la capacità di scrivere sia quella di parlare. Ma non è forse vero, si chiese, che possiedono quella capacità?”

Quindi Isserley, a conoscenza della possibilità dei vodsel di parlare, si rifiuta di pronunciare la parola per Amlis, vuole nascondere ad ogni costo il fatto che i vodsel abbiano un linguaggio nella convinzione che ciò porterebbe Amlis ad avere ancora più argomenti per sostenere la sua causa contro la macellazione di esseri senzienti. 

In questo passaggio è cristallina la critica sociale alla nostra società antropocentrica e specista con tutte le sue contraddizioni profonde: il ragionamento di Isserley ricalca il nostro, in lei risuonano tutte le nostre argomentazioni a favore del diritto che ci arroghiamo di sfruttare, uccidere e mangiare gli altri animali e che sono legate a quel concetto del linguaggio come attributo proprio solo dell’umano.

E’ la capacità di parlare e scrivere a pesare quando si tratta di decidere il grado di considerazione che un animale si merita, da ciò deriva il fatto che Isserley non abbia alcun interesse a mettere in luce la seppur minima parvenza di linguaggio nel vodsel perché è una caratteristica che secondo lei potrebbe rendere Amlis ancor più empatico verso ciò che in definitiva è solo un filetto di carne, e così come Isserley anche la Vess incorporated non ha alcun interesse ad essere trasparente, tanto che la “lavorazione” avviene in un impianto sotterraneo ad opera di poveri reietti della società aliena che non hanno nulla da perdere, così come nella nostra società l’industria della carne non ha alcun interesse ad aprirci le porte degli allevamenti e dei macelli che infatti sono luoghi chiusi e inaccessibili. La distanza fisica ed emotiva tra noi e gli animali deve esserci, perché il sistema che abbiamo creato si basa moltissimo sull’ignoranza rispetto a chi siano davvero gli animali.

Ma ancora più interessante è il punto di vista di cui si fa portatore Amlis, che è il punto di vista opposto a Isserley, e che coincide in questo gioco di specchi, con quello di tutti coloro i quali hanno deciso che le differenze di specie non possono in nessun modo giustificare la sopraffazione e la violenza: Isserley si affanna per nascondergli le qualità cognitive del vodsel che ha scritto Pietà, ma in realtà ad Amlis non serve sapere fino a che punto quell’animale sa parlare o comunicare per decidere di non mangiarlo. la differenza per lui la fa la consapevolezza che quell’animale soffre, proprio come un umano. “siamo tutti uguali, sotto la pelle” è infatti la risposta lapidaria e incompresa con cui Amlis mette fine al confronto con Isserley sulla moralità o meno di mangiare carne, e che segna la distanza, in questo momento inesorabile, tra i due personaggi. 

Quel “Siamo tutti uguali, sotto la pelle” è il manifesto di un nuovo modo di concepire il rapporto con gli altri animali che si è affacciato nel dibattito animalista principalmente con “Liberazione animale” di Peter Singer e che rappresenta una rottura con il passato perché individua nella capacità di soffrire la caratteristica che dà il diritto all’animale di essere considerato. Non sono più la capacità cognitiva, il linguaggio o la scrittura i criteri per stabilire lo status di un animale e come andrebbe trattato ma la sua capacità di soffrire, di provare dolore o di provare piacere. 

Faber va ancora più a fondo nella sua indagine della psicologia umana quando instilla il dubbio in Isselery che infatti si chiede “Ma non è forse vero, che possiedono quelle capacità?” lo stesso dubbio che si insinua in noi quando per esempio leggiamo delle ultime scoperte sulle capacità cognitive dei maiali  o ancora quando abbiamo la possibilità di conoscere da vicino un animale cosiddetto da reddito, per esempio in un agriturismo, nonostante queste esperienze e conoscenze il pregiudizio non viene scalfito, ma continua ad essere tenuto vivo grazie a una serie di autogiustificazioni costruite ad hoc.

Sempre Isserley infatti continua nel suo flusso di pensiero:

“Con i vodsel il guaio era che la gente che non li conosceva poteva equivocare i loro gesti. la tendenza era di antropomorfizzarli. Un vodsel poteva compiere qualcosa di simile ad un’azione umana; emettere gemiti di sofferenza, o supplicare, e questo portava l’osservatore ignorante a trarre conclusioni affrettate.”
“ Alla fine però i vodsel non sapevano fare nessuna delle cose proprie degli umani. Non potevano siuwil né mesnishtil, non avevano il concetto di slan. nella loro brutalità non si erano mai evoluti abbastanza da usare l’hunshur; le loro comunità erano così rudimentali che l’hississins non esisteva ancora; né queste creature sembravano manifestare il bisogno di un chail e neppure del chailsinn”

In questo passaggio c’è l’esemplificazione chiarissima della dissonanza cognitiva che affligge gli umani, cioè quel forte disagio che proviamo nel momento in cui aborriamo la violenza sugli animali ma allo stesso tempo mangiamo gli animali e che risolviamo rimuovendo dai nostri ragionamenti gli elementi di incoerenza, aggiungendo nuove credenze, modificandole a nostro uso e consumo e così via. ovvero Per risolvere il conflitto interiore decidiamo di dare valore arbitrariamente a ciò che è funzionale al mantenimento di comportamenti che non siamo disposti a cambiare.

Ed è quello che fa Isserley quando si aggrappa al fatto che i vodsel pur avendo un rudimento di linguaggio, comunque non possiedono le caratteristiche proprie dell’umano, cioè il siuwil, il mesnishtil o lo slan.

Ma oltre al discorso sulla dissonanza cognitiva, questo ultimo passaggio che ti ho letto è molto potente per l’uso che fa faber della lingua, un uso che si ricollega alla centralità in questo romanzo della questione del linguaggio di cui ti parlavo all’inizio. 

IL LINGUAGGIO CHE CREA LA REALTÀ

Dicevo come la questione del linguaggio in Sotto la pelle, sia centrale in due sensi. C’è il linguaggio come discrimine tra umano e non umano, che è quello che abbiamo trattato finora e poi c’è un altro tema che viene fuori sempre in questo ultimo passaggio del romanzo, ed è la lingua come creatrice della realtà.

Grazie alla lingua fittizia che si è inventato Faber, in questo passaggio noi leggiamo una lista di termini che dovrebbero elencare presunte qualità umane, di cui però noi lettori, che ci definiamo umani, non conosciamo il significato. Siuwil, mesnishtil, slan: per noi sono termini vuoti, nonsense.

La potenza di questo passaggio sta proprio nel dimostrarci che ciò che noi decidiamo essere una caratteristica umana o non umana deriva innanzitutto da una scelta linguistica completamente arbitraria e antropocentrica. Il linguaggio quindi non è solo ciò che ha distinto l’uomo dall’animale ma la distinzione stessa è stata creata dal linguaggio, dall’atto di dare nome o di rinominare l’altro. Il nostro linguaggio non solo ha descritto la realtà ma l’ha anche creata. 

Rimettendo la prospettiva dal punto di vista di noi umani e traducendo il passaggio nella nostra lingua, potrebbe suonare così:

“Alla fine però gli animali non sapevano fare nessuna delle cose proprie degli umani. Non potevano ridere né piangere, non avevano il concetto di lutto. nella loro brutalità non si erano mai evoluti abbastanza da usare i vestiti; le loro comunità erano così rudimentali che una forma di governo non esisteva ancora; né queste creature sembravano manifestare il bisogno dell’istituzione del matrimonio e neppure del funerale”. Vi suona familiare?

LA MANIPOLAZIONE DELLA NOSTRA EMPATIA, L'HORROR DI VEDERE GLI UMANI DEUMANIZZATI

La seconda svolta nel romanzo arriva quando Isserley subisce uno stupro da parte di un autostoppista, questa esperienza è ciò che la porta a empatizzare con i vodsel, non solo perché riconosce loro per la prima volta una soggettività, sono capaci anche di fare del male, ma anche perché il suo dolore di donna stuprata da un vodsel la mette sullo stesso piano dei vodsel brutalizzati e macellati per la loro carne. Lo sfruttamento dei vodsel, cioè degli animali, in qualche modo ha la stessa matrice della misoginia e dello sfruttamento del corpo femminile e accomuna la sua sofferenza a quella di un’altra minoranza oppressa, un tema, quello dell’oggettivazione degli animale e delle donne che è stato per esempio indagato a fondo in “Carne da macello” di Carol J. Adams.

Tornando a Isserley, la distanza che ha sempre messo tra sé e i vodsel attraverso il linguaggio e che le ha permesso di fare quello che fa senza alcuno scrupolo morale viene meno di fronte all’esperienza di violenza sulla propria pelle. 

A questo punto Isserley, che non ha mai assistito al processo di lavorazione dei vodsel chiede di potervi partecipare, di vedere con i propri occhi. E qui ci sono i passaggi più horror del romanzo, l’orrore che noi lettori umani proviamo leggendo delle violenze inflitte da una specie sull’altra, che sono le stesse identiche violenze che noi infliggiamo ogni giorno agli animali (castrazioni, mutilazioni, incatenamento, costrizione in gabbie) ma che questa volta sono rivolte a noi. L’horror di vedere gli umani deumanizzati.

"Isserley si sporse per vedere, ma i grossi polsi di Unser e il lavorio delle sue dita le impedivano di osservarlo me tre tagliava la lingua del vodsel. Il sangue iniziò a fluire sulle guance del vodsel (...) Senza esitazioni afferrò un’apparecchiatura elettrica che assomigliava a un largo cacciavite a stella e, socchiudendo gli occhi con fare concentrato, lo introdusse nella bocca del vodsel. La luce lampeggiava tra le agili dita di Unser mentre cercava i vasi sanguigni recisi e li cauterizzava producendo un ronzio scoppiettante.
(...) Quando fu soddisfatto dello stato della cavità orale dell’animale, unser rivolse l’attenzione ai genitali. Raccogliendo uno strumento pulito, tagliò la sacca dello scroto e con rapide, delicate, quasi tremanti incisioni del bisturi, rimosse i testicoli.
(...) La velocità minimizza il trauma. dopo tutto non vogliamo causare sofferenze inutili no? - si concesse un debole sorriso orgoglioso - Un macellaio deve essere anche un po’ chirurgo, sai.”

Da questo momento in poi è come se Isserley avesse un breakdown mentale: inizia a tentennare, a sentirsi in colpa, provare empatia per una specie che non è la sua e che finora ha sempre visto, descritto e trattato come un pezzo di carne. 

E finora noi che leggiamo, siamo stati sapientemente manipolati da Faber che ci ha portato a oscillare tra simpatia e disgusto per il personaggio di Isserley: simpatia perché è un personaggio che soffre per la sua condizione di ibrido tra uomo e animale, che soffre per i dolori costanti dovuti alle operazioni ed è sempre messa sotto pressione a lavoro per portare in fabbrica un certo numero di esemplari di vodsel. Simpatia perché è un outsider, vive in solitudine, si è autoisolata dai suoi colleghi per via della sua apparenza, e non è nemmeno integrata nella società dei vodsel, alcuni esemplari che incontra le riservano sguardi sessualizzanti, predatori a loro volta. D’altra parte proviamo disgusto nel momento in cui scopriamo chi è e quello che fa, cioè portare al macello delle persone che lei considera essere inferiori, disgusto perché è totalmente sorda al tentativo di sensibilizzazione di Amlis, perché nega il fatto che i vodsel siano senzienti e possano soffrire quando ne ha le prove davanti agli occhi, perché fa un lavoro orribile e lo fa con distacco, addirittura abbiamo passaggi nel romanzo in cui Isserley familiarizza più con le pecore che con i vodsel.

Arrivati allo stupro però siamo portati nuovamente a prendere le sue difese, empatizziamo con lei, la compatiamo, proviamo pena e rabbia per quello che ha subito.

Anche questa oscillazione continua della nostra identificazione e empatia di in qualità di lettori con i personaggi di “Sotto la pelle” concorre insieme al rivolgimento di prospettiva e linguistico, a sfumare i confini di ciò che reputiamo umano e animale e ci costringe a mettere in discussione la nostra etica, le nostre credenze e le nostre convinzioni.

La stessa cosa succede in parallelo a Isserley nell’ultima parte del romanzo, quando per la prima volta viene sfiorata dal pensiero di liberare il vodsel che ha appena portato in fattoria, poi prova pena per il cane del vodsel che lei sa essere chiuso in un camion abbandonato per strada e quindi va a liberarlo. 

Questo cambiamento interiore la porterà addirittura a prendere la decisione di abbandonare il suo lavoro alla fattoria Ablach.

"SOTTO LA PELLE", UN ROMANZO CHE DETRONIZZA L'UMANO

“Sotto la pelle”, come ho riconosciuto all’inizio di questa analisi, mette in gioco tanti temi, alcuni che ho accennato e ad altri che ho tralasciato. Ma sicuramente è un romanzo che con il suo artificio linguistico, il ribaltamento di prospettiva e la manipolazione della nostra empatia stravolge il rapporto di potere che esiste tra umani e non umani, ci detronizza, ci mette dall’altra parte: siamo noi a ricevere un nome e quindi ad essere dominati da essere alieni che si autodefiniscono essere umani e ci definiscono animali. E ciò non può che destabilizzarci come lettori e come umani e farci riconsiderare i confini, labili, che abbiamo creato tra noi e le altre specie e le nostre giustificazioni morali ad atti di violenza. 

SALUTI FINALI E CONTATTI

Spero di averti convinto a leggere sotto la pelle, o nel caso tu l’abbia già letto, spero di averti dato qualche spunto di riflessione interessante su questo romanzo.

Se vuoi condividere le tue opinioni su “Sotto la pelle” puoi scrivermi a minima@minimashop.it, o mandarmi un messaggio su instagram e facebook @minimashop.it, oppure lasciarmi un commento qui sotto.

Hai ascoltato la prima puntata di “Sotto la pelle - libri antispecisti”, un podcast prodotto da Minima Shop, negozio vegan, zero rifiuti e senza plastica. I Testi e la voce sono i miei, Viviana Lisanti, la sigla e i commenti musicali sono di Riccardo Canta e Ruggero Pasini. 

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