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La pelle sintetica è più ecologica della pelle animale
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April 26, 2023

È diffusa la credenza che pelle, lana, seta e altri materiali di derivazione animale siano intrinsecamente più ecologici, perché naturali, “biodegradabili” e che le alternative a disposizione più diffuse e accessibili come nylon e poliestere, siano peggiori dal punto di vista dell’impatto ambientale perché oltre a essere di derivazione fossile, rilasciano microplastiche durante l’uso e pongono problemi di smaltimento.
Credenze che l’industria della pelle si spende molto a confermare e rinforzare, andando contro per esempio al Higg Materials Sustainability Index che osa condividere dati che mal si accordano con la presunta “sostenibilità della pelle”.
Che il nylon e il poliestere e il poliuretano abbiano molte criticità è innegabile e che dobbiamo sempre più allontanarci dai materiali petrolchimici è evidente. Posto che esistono sempre più materiali vegani, non animali, che fanno uso di scarti alimentari come buccia di mela, mais, catus etc al momento già disponibili e reperibili a prezzi di mercato e che sempre più saranno diffusi ed economici, è proprio vero che un maglione di poliestere inquina più di un maglione di lana? Che una giacca di finta pelle (plastica) ha più impatto di una di vera pelle bovina?
Come la pelle di un animale diventa pelle da indossare
La pelle di un animale non è così “naturale”, per poter essere indossata deve passare attraverso molti più processi di quelli che si immaginano comunemente.
Salatura ed essicamento: innanzitutto, dopo la scuoiatura dell’animale, la pelle grezza viene pretrattata con il sale per preservarla dall’azione dei batteri, segue l’essiccamento per eliminare dalla pelle quanta più acqua possibile e per poterla trasportare senza che marcisca.
Rinverdimento: la pelle viene reidratata e riportata alle sue condizioni originali
Calcinaio: la pelle viene immersa nella calce per prepararla all’assorbimento dei prodotti durante la concia, in questa fase viene anche depilata, cioè si dissolvono i peli.
Scarnatura e rifilatura: con la prima operazione la pelle passa in un cilindro e viene uniformata, con la seconda si eliminano le parti in eccesso.
Spaccatura: si taglia orizzontalmente la pelle in due strati.
La devastazione ambientale e sociale delle concerie
Arriviamo alla concia che è la fase più importante: consiste nell’impregnare la pelle con sostanze che ne impediscono la decomposizione. Esistono tanti tipi di concia, esiste anche la concia vegetale, ma al momento il 90% del pellame viene conciato con il cromo che è una sostanza chimica altamente inquinante e tossica.
L’India, che è la capitale mondiale della pelle, da cui arriva la quasi totalità della pelle presente sul mercato anche europeo, è un paese dilaniato dal problema ambientale dovuto agli scarti tossici della concia al cromo.
Kanpur ad esempio ospita più di 300 concerie, è il principale esportatore di pelle del paese, con oltre il 90% dei suoi prodotti destinati ai mercati in Europa e negli Stati Uniti.
I lavoratori delle concerie e la gente del posto soffrono di gravi malattie della pelle, tuberculosi, cecità, problemi gastrointestinali e bambini nati con gravi disabilità mentali e fisiche.
Gli impianti di trattamento riescono a trattare correttamente solo il 20% dell'acqua ricevuta dalle concerie. Gli scarti tossici del cromo sono gassosi, liquidi e solidi, sono scaricati nei fiumi, nell’aria e arrivano quindi a inquinare anche i campi agricoli. Il cromo entra così nella catena alimentare.
Ma la concia è solo in parte causa dell’enorme impatto ambientale della pelle.
Il vero problema della pelle è a monte
Per trovare il vero problema della pelle bisogna risalire più sopra nella filiera, bisogna andare all’allevamento dei bovini la cui pelle verrà strappata e conciata.
L’impatto ambientale della pelle è dato dall’allevamento dei bovini che sono gli animali più usati per ottenere vestiti di pelle e cuoio.
L'allevamento di bovini per carne bovina e prodotti in pelle è responsabile dell'80% della deforestazione dell'Amazzonia. L'altro principale motore di questa deforestazione è la produzione di soia, di cui l'80% è destinato all'alimentazione animale.
L’allevamento consuma terra, acqua (l’impronta idrica di una vacca equivale a 100.000 litri), minaccia la biodiversità, emette gas serra, contribuisce alla crisi climatica.
La pelle non è uno scarto
E no, la pelle non è uno scarto. Ciò che afferma l’industria della pelle e che la maggior parte delle persone credono, cioè che la produzione di pelle prende uno scarto da un'altra industria e lo trasformi in un prodotto durevole e sostenibile, è una falsità.
L’industria della pelle non è un ente di beneficenza che si occupa di riciclaggio, la pelle non è un sottoprodotto ma un co-prodotto redditizio che si stima avrà un mercato di 629,95 miliardi di dollari entro il 2025. L'industria della carne e i macelli hanno riportato perdite multimilionarie quando le pelli non vengono vendute o vendute per molto meno, spesso spiegando questo con l'aumento delle alternative alla pelle.
Quella della pelle è l’industria gemella dell’industria della carne, due facce della stessa medaglia. L’industria della pelle indirizza anche l’allevamento, se pensiamo alla grande richiesta di pelle di vitello, tenera, soffice, perfetta, per fare le borse, una richiesta della moda che ha fatto sì che alcuni allevamenti si specializzassero in “vitelli da borsa”, allevandoli a questo scopo, con ancora più cura che il vitello nella sua gabbietta di un metro per due non si muova e non si provochi escoriazioni o punture di insetto danneggiando la materia prima che una sarta dovrà usare per confezionare le richiestissime birkin.
Questo per dire che l'allevamento di animali è correlato all'industria della pelle, quindi quando si calcolano le emissioni di gas serra della pelle bisogna includere le emissioni dell’allevamento di bovini.
Non si può eludere dal discorso l’allevamento quando si parla di impatto della pelle. Ci prova l’industria della pelle, con tutta se stessa e a livello mediatico sembra ci sia riuscita ma i dati non mentono.
I grandi marchi di lusso sono responsabili in egual modo della deforestazione dell’Amazzonia, non si scappa, da lì viene la loro preziosa pelle, dalle vacche che pascolano nei terreni bruciati anche illegalmente per far spazio all’allevamento.
Le emissioni della pelle equiparate a quelle della pelle sintetica: lo studio della lobby della pelle
Il Leather Panel si occupa di dare informazioni, fare pubblicazioni e report sull’industria della pelle, fa capo all’UNIDO, l'agenzia specializzata delle Nazioni Unite che promuove lo sviluppo industriale per la riduzione della povertà, compresa la globalizzazione e la sostenibilità ambientale.
Prendendo un documento ufficiale del Leather Panel, della lobby della pelle, il collective fashion justice, che si occupa di indagare le ingiustizie interconnesse nelle filiere della moda che danneggiano il pianeta, le persone e gli animali per creare un sistema di moda totalmente etico, ha calcolato l’impronta di carbonio dei vestiti in pelle comparnadoli a quelli di plastica.
I dati su cui ci si basa per questi calcoli, sono quelli ripeto forniti dalla lobby della pelle stessa.
Nel report del Leather panel c’è lo studio delle emissioni della pelle, che tiene conto di tutto, energia, acqua, trasporto, che però è calcolato a partire dalla fase post-macellazione degli animali e che non tiene conto dell’incenerimento (cioè della fase di smaltimento, la pelle non si biodegrada).
Le emissioni di CO2e che dichiarano sono pari a 17,0 kg di CO2e per metro quadro di pelle prodotta. sempre secondo i loro dati, la pelle sintetica emette 15,8 kg di CO2 per metro quadrato (nella pelle però si include la fase di estrazione del petrolio, curioso e anche quella di smaltimento, no?)
Sempre secondo quanto scritto dalla lobby della pelle, se però includiamo nel conteggio delle emissioni della pelle anche l’allevamento, le emissioni schizzano a 110 kg di CO2e per metro quadro, sette volte più della pelle sintetica.
collective fashion justice ha calcolato allora quanti chilogrammi di CO2e ci sono nelle nostre giacche di pelle, borse e scarpe.
Hanno chiesto ai creatori di questi prodotti quanta pelle è necessaria e con i numeri a disposizione hanno fatto i calcoli. E non solo sono arrivati all’evidenza che una borsa sintetica emette 7 volte meno di una in pelle, ma sono arrivati alla conclusione che conviene lasciare la pelle pre trattata di una vacca in discarica rispetto a conciarla e renderla un vestito, si emette meno.
Lascio a voi le valutazioni.


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