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Fast fashion: cosa significa e cosa comporta?
Cosa si indica con il termine fast fashion? Quali sono i punti dolenti di quest'industria?
Minima Shop
September 22, 2020

Che cosa significa fast fashion
Fast fashion, cioè moda veloce o istantanea, è un termine che indica una modalità di produzione di abbigliamento che si basa sull’offerta di capi che seguono il trend del momento, in tempi veloci e a prezzi molto bassi.
Rispetto alle due collezioni stagionali (autunno- inverno e primavera-estate), la fast fashion propone nuove collezioni ogni settimana, più di cinquanta all’anno, riuscendo a copiare a tempi record i modelli visti sulle passerelle dell’alta moda o addirittura ad anticipare le tendenze.
Quest’industria si è affermata a partire dagli anni ‘70 e deve la sua fortuna alla delocalizzazione di intere fasi della produzione e all’appalto a terzi in paesi dove il costo del lavoro è più basso come India, Cina, Bangladesh, Turchia, Egitto.
Cambiamento nelle abitudini di acquisto dei consumatori
Il costo di produzione minore unito all’utilizzo di materie prime di bassa qualità, perlopiù di origine petrolchimica (nylon, poliestere, viscosa), è all’origine dei prezzi irrisori sull’etichetta che gioca a sua volta un ruolo fondamentale nel cambiamento di abitudine dei consumatori.
Il comportamento degli acquirenti si traduce da un parte in un acquisto compulsivo per stare al passo con le novità settimanali; dall’altra nel gettare nell’immondizia, con estrema facilità, gli abiti che si possiedono sia perché molto spesso sono talmente di pessima fattura da non poter essere riutilizzati già dopo pochi lavaggi, sia perché il costo irrisorio di questi brand “low cost” non fa percepire lo spreco di soldi nel buttarli. Per questa dinamica la fast fashion viene anche chiamata moda “usa e getta”.
I problemi della fast fashion
L'IMPATTO AMBIENTALE
La fast fashion è problematica dal punto di vista ambientale: ad oggi vengono fabbricati 100 miliardi di capi d'abbigliamento all’anno, una sovrapproduzione che ha ripercussioni in termini di inquinamento e sfruttamento delle risorse non rinnovabili o limitate.
Produrre abiti ha un impatto ambientale altissimo dalla fase di coltivazione o produzione della materia prima (pensiamo alla problematicità della coltivazione di cotone che utilizza pesticidi e grandi quantità di acqua o all’estrazione del petrolio per le fibre plastiche) a quella di trasformazione (sostanze tossiche utilizzate per trattare i tessuti, coloranti chimici), assemblaggio e trasporto, utilizzo (il lavaggio di vestiti rilascia microplastiche) fino allo smaltimento. Ricordando sempre che tutte queste fasi avvengono in paesi dove le norme in termini di tutela ambientale non esistono o dove i controlli non sono efficaci.
Lo smaltimento dei vestiti usati è in particolar modo un’emergenza: la durata media di un indumento è ormai scesa a circa 3 anni e negli ultimi 10 anni la mole di rifiuti tessili pro capite è più che raddoppiata. Ciò significa montagne di vestiti nella spazzatura quindi discarica o inceneritore perché meno dell'1% dei materiali per l'abbigliamento sono riciclati.
L'IMPATTO SOCIALE
La maggior parte della fabbricazione degli indumenti avviene al di fuori dell'Europa, in Cina, India, Bangladesh e in altri paesi dell'Asia e dell'Africa dove la legislazione sul lavoro è diversa, i salari minimi molto spesso non esistono, ci sono grossi problemi di lavoro minorile e pochi o assenti controlli su condizioni di lavoro, sicurezza sul lavoro e diritti dei lavoratori.
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